Carovita: Perchè? Per il caro bollette servono i soldi del Pnrr. La proposta di USPL. “No al governo della guerra e del carovita”: Mario Draghi chiedendo se fosse meglio la pace o il refrigerio dei condizionatori è riuscito nell’operazione nostalgia. Leggi l’articolo per saperne di più!
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Per il carovita e il caro bollette servono i soldi del Pnrr. La proposta di USPL
“É molto meglio sposare una donna bella ricca e fedele che una brutta, povera, che ti mette le corna”. Era una delle sentenze di Massimo Catalano, il filosofo dell’indimenticabile salotto notturno di Renzo Arbore.
Ecco, l’altro giorno, Mario Draghi chiedendo se fosse meglio la pace o il refrigerio dei condizionatori è riuscito nell’operazione nostalgia: un po’ Massimo Catalano ma anche un po’ Katia e Valeria, le due comiche di Zelig che fingevano il concorso di Miss Italia augurando la pace nel mondo.
Nella conferenza stampa del condizionatore, il pinguino Draghi non è soltanto inciampato nella comunicazione ma ha evidenziato l’affanno di un premier in forte stato confusionale: visto che non può fare a meno del gas russo, rimanda alle scelte degli italiani – famiglie e imprese – nel tentativo di rabberciare una soluzione ben più complessa del fresco in casa.
Tra l’altro Mario Draghi ha poco da fare il brillante in casa degli altri. Visto che l’uomo se ne è uscito chiedendo agli italiani una rinuncia per il bene supremo della pace, sarebbe stato meglio informarsi di alcune cosette che riguardano governo, parlamento e pubblica amministrazione: lo sa che per tenere giacca e cravatta (come da regolamento) pure nei mesi caldi, in parlamento si tiene l’aria condizionata a palla?
Ecco, cominciamo a guardare prima in casa nostra, magari evitando che negli uffici della Camera e del Senato, dei ministeri, in generale della P.a. si tanga l’aria in modalità Siberia.
La provocazione o la sfida lanciata dal Governatore si squaglia in una realtà che non può prescindere dalla forte dipendenza che abbiamo con il player russo.
E non saranno né i nuovi pacchetti sanzionatori, né le sanzioni in generale a risolvere la questione visto che le sanzioni non solo non producono un effetto deterrente, ma rischiano di favorire un cartello geopolitico che pagheremo caro a breve: più l’Europa (su input americano) inasprisce le sanzioni e più Putin si legherà alla Cina, all’India e a quell’Asia in corsa che necessita di gas.
Conviene? Forse no.
E allora come se ne esce? Lo ribadisco: costruendo una mediazione (presupposto necessario ma non sufficiente al fine di una pace possibile e non assoluta) che negozi sia con Zelensky che con Putin la “divisione” dell’Ucraina.
Chi pensa di sconfiggere Putin o di metterlo alla sbarra di un qualsivoglia tribunale lo dovrà prima sconfiggere militarmente, sapendo che così facendo la guerra si mette su un crinale ancor più pericoloso e tragico.
Torniamo a Draghi e al suo pistolotto alla Catalano. (Continua a leggere dopo la foto)
Ridurre il consumo di energia mettendolo come presupposto della pace è una corbelleria che nemmeno la propaganda di Greta avrebbe pensato.
La verità è che Draghi non sa come giustificare due cose: la prima è che l’Italia (con tutta l’Europa, Germania in testa) paga a Putin attraverso il gas il sostentamento della guerra;
la seconda è che il governo non ha i soldi per far fronte al caro energia, dalle bollette alle pompe di rifornimento. Su quest’ultimo punto si sta inventando una serie di interventi che non producono alcun beneficio ai bilanci delle famiglie e delle imprese, basti leggere le bollette che stanno arrivando in casa o nelle aziende.
Draghi a tal proposito dovrebbe chiedere non solo lo scostamento di bilancio ma soprattutto il ripiegamento dei soldi del Pnrr per affrontare questa emergenza.
Non accade perché quei soldi non ci sono e la tanto strombazzata Europa non ha soldi da mettere senza provocare una crisi di nervi ai tedeschi, agli olandesi e a tutti i sacerdoti del rigorismo.
Il gas (italiano) c’è, ma il governo lo blocca. Scoppia lo scandalo dei giacimenti nazionali
L’Europa, preda della sua storica e intramontabile incompetenza, sta provando in tutti i modi a trovare una soluzione per poter rinunciare – secondo loro – al gas russo.
Come si è già capito, andrà a finire che ci rimetterà davvero sarà solo l’Italia. La quale, intanto, al contrario dei proclami di Draghi&Co. sta persino chiudendo i propri giacimenti.
Ma come?
Non si dovevano implementare in questo momento di crisi? Come spiega allarmato Il Sole 24 Ore, “il ministero della Transizione ecologica nei giorni scorsi ha rigettato una carriolata di nuovi giacimenti di gas e di petrolio.
Sono state respinte 37 richieste di poter indagare il sottosuolo presentate fra il 2004 e il 2009 da compagnie come Eni, Shell, Total, Northern Petroleum, Rockhopper, Aleanna, Mac Oil, Apennine e Canoel”.
E perché? (Continua a leggere dopo la foto)
Da una parte “potrebbe essere chiamato «effetto Pitesai», cioè è una conseguenza di quel piano regolatore voluto dal Governo Conte i e diventato operativo quattro mesi fa”, dall’altra c’è un’incompetenza generale e diffusa in chi sta amministrando il Paese oggi.
L’associazione confindustriale delle compagnie minerarie, Assorisorse, ha appena concluso un’analisi puntuale, giacimento per giacimento, delle conseguenze del piano regolatore Pitesai.
Ecco la sintesi dello studio riportata dal Sole: “Il piano porterà al blocco e alla revoca di 42 su 45 permessi per cercare nuovi giacimenti. I primi 37 sono quelli già saltati. Sopravvivranno 3 permessi di ricerca, fra cui uno dell’Eni e uno della piccola compagnia emiliana Gas Plus”. (Continua a leggere dopo la foto)
Dei 108 giacimenti di gas oggi attivi (con il petrolio, 123 concessioni in tutto), “20 concessioni saranno revocate, 36 saranno soggette a verifica per stabilire se possono continuare a estrarre, 31 saranno soggette a limiti che congelano ogni investimento. Consolazione: 21 giacimenti su 108 non avranno problemi.
Potrebbero esserci serie difficoltà nel realizzare quel piano di riscoperta dei giacimenti nazionali di gas che il decreto Energia vuole mettere a disposizione a prezzo convenzionato per l’industria energivora”.
Ma che cos’è il Pitesai?
“Pitesai è la sigla di Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, un nome opaco il cui significato è: si può sfruttare il sottosuolo solamente nelle aree idonee in cui questa attività mineraria non dà disturbo”.
E quindi? (Continua a leggere dopo la foto)
“Le aree idonee sono quelle non industriali, ma non devono neanche essere aree naturali, quelle in mare non devono essere troppo vicine alla costa, non centri abitati (un giacimento è stato definito area urbanizzata perché “urbanizzata” dagli insediamenti petroliferi), non colture di pregio (Puglia e Molise hanno deliberato “coltura di pregio” l’intera superficie regionale), non riserve naturali esistenti ma nemmeno aree in cui l’istituzione di una riserva è solamente ipotizzata per il futuro.
Di conseguenza, riferisce la testata specializzata Staffetta Quotidiana, tra il 7 e il 14 marzo il ministero della Transizione ecologica ha rigettato 37 progetti di ricerche di giacimenti, di cui 27 per permessi di ricerca a terra e 10 in mare.
Tra le vittime congelate dal Pitesai c’è il giacimento Giulia nel mare davanti a Rimini, 500 milioni di metri cubi di metano di prima qualità, pozzi già perforati, piattaforma pronta e completa, cui manca solamente il tubo per collegare il metanodotto a terra”.
Gas russo, il governo trucca le carte: a parole non ci sono problemi, ma ecco cosa si scopre nel Def
Un governo diviso, segnato da tensioni profonde. E con una forte indecisione sia sul modo di gestire l’emergenza Ucraina, scattata a seguito dell’invasione russa, sia sulla posizione da prendere rispetto al gas che il nostro Paese prende da Mosca.
Il caos è evidente nelle parole dei ministri scelti da Mario Draghi per il “governo dei migliori”, espressione più che mai impropria: Cingolani aveva dichiarato che lo stop alle importazioni non avrebbe causato problemi, il collega Franco ha invece prospettato un tracollo. Nessuno, insomma, sa davvero come stanno le cose, una linea schizofrenica che spaventa comprensibilmente gli italiani. (Continua a leggere dopo la foto)
Stando alle proiezioni di Bankitalia, senza l’energia di Putin l’Italia rischia addirittura di entrare in una recessione che potrebbe durare anche due anni. Con il governo che, nel frattempo, ha ben pensato di far esplodere il “caso condizionatori”, prospettando un abbassamento dei gradi dei climatizzatori negli uffici che ha però diviso gli stessi esponenti della maggioranza a sostegno di Draghi.
Un bel pasticcio, non c’è che dire. Dando un’occhiata ai numeri, lo scenario dipinto dal Documento di Economia e Finanza presentato in questi giorni non è dei migliori: secondo i dati, infatti, il nostro Paese non sembra poter fare a meno del gas russo. (Continua a leggere dopo la foto)
L’introduzione, firmata dal ministro dell’Economia Daniele Franco, recita: “La previsione tendenziale è caratterizzata da notevoli rischi al ribasso. Tra questi spicca la possibile interruzione degli afflussi di gas naturale dalla Russia, che nel 2021 hanno rappresentato il 40% delle nostre importazioni.
Sebbene questo rischio sia già parzialmente incorporato nei prezzi di petrolio e gasolio, è plausibile ipotizzare che un completo blocco del gas russo causerebbe un ulteriore aumento dei prezzi, che influirebbero negativamente sul Pil e spingerebbero al rialzo l’inflazione”. (Continua a leggere dopo la foto)
La crescita media annua del 2022, in questo scenario, potrebbe scendere “sotto il 2,3% ereditato nel 2021”. Con le stime che parlano di decine di miliardi di Pil in fumo in caso di stop all’export italiano verso la Russia.
Il tutto mentre Roberto Cingolani, titolare della Transizione Ecologica, parla invece di “nessun problema nei prossimi mesi”, pur invitando a stare attenti agli stoccaggi, ovvero le riserve invernali.
Nel governo Draghi, insomma, nessuno sa cosa succederà davvero. Difficile, con queste premesse, fidarsi di chi dovrà prendere decisioni che avrà conseguenze, potenzialmente pesanti, sulla vita dei cittadini.
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